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Riprendersi cura delle proprie cose, soppesando distanze e circostanze, è spesso un esercizio da funamboli; da una parte l'"ora e qui" sempre controvento del testo, dall'altra l'impasto sottopelle di suggestioni resistenti alla smacchiatura; in mezzo, il fantasma tenace di chi scrive e non molla deroghe, fra manie di persecuzione dell'effimero e il misurino aggiunto di qualche nuova regola. Nei ritocchi di forma ho privilegiato una maggiore fluidità, emendando qua e là aggettivazioni poco utili, pronomi e possessivi impliciti, incidentali superflue; solo in un paio di casi ho optato per una riscrittura più organica, pure limitata, come nell'indovinello de Il sicario troiano, o nel finale de Il pollice verde. La densità ipotattica fornisce ancora, in questo mio primo tentativo in prosa, una collaudata rete di sicurezza, o almeno una camera di decompressione comoda: tic o "terapia a rischio" di prima rianimazione, per un logos qua e là in codice rosso, a sipario almeno socchiuso.